Si è conclusa la stagione introduttiva dello spin-off/prequel di Game of Thrones nel quale, diciamoci la verità, pochissimi o nessuno speravano. Eppure, è successo l’imprevedibile: è scritto benissimo.
Già dal primo episodio House of the Dragon ha mostrato di essere una storia ambientata nei Sette Regni, con una realtà politica sfaccettata fondata su interessi, rapporti personali e ambizioni, oltre che uno show decisamente poco timoroso di mostrare i denti e mordere. Sarà la presenza di George R. R. Martin, sarà l’avere già una solida struttura di eventi che sorregga la storia dall’inizio alla fine, questo viaggio nel passato di Westeros non è solo convincente, è coinvolgente, credibile e ha una firma marcata.
I problemi che affliggono la serie sono prevalentemente due: i continui salti temporali minano l’immersione impedendo di capire a pelle come si siano evoluti i rapporti fra i personaggi, inoltre il recasting di alcuni a fronte di un apparente non invecchiamento degli altri intacca quel senso di avanzamento del tempo (anche se questo punto è relegato a pochi ruoli). Il resto è un ritorno ai vecchi fasti di Game of Thrones, che certamente non potrà avere l’impatto di quest’ultimo sulla cultura pop ma che sembra proprio star riuscendo in una missione che ritenevamo impossibile: far superare il trauma della scrittura oscena delle stagioni 7 e 8.
In effetti, House of the Dragon è per molti versi un manuale di scrittura (che di questi tempi nel genere fantasy televisivo farebbe bene a diversi) e lo è per molti motivi.
I personaggi hanno una loro storia, legata a esperienze personali, educazione ricevuta, luogo in cui hanno vissuto, rapporti intessuti con altri, e sono coerenti con ciò che ci viene detto di loro. Sembrerà anche il minimo indispensabile, ma sembra che recentemente agli occhi di molti questo abbia perso peso nella valutazione di un prodotto. Rhaenyra, che in prima battuta sembra una riproposizione di Daenerys, mostra invece un approccio che ha tutto il senso di aver sviluppato nel suo ruolo di figlia femmina mai guardata come potenziale erede. Alicent riesce a essere ambiziosa in modo assennato e a non dimenticare comunque mai i propri affetti, evidenziando il conflitto tra la persona che suo padre ha modellato e quella che invece vuole essere. Re Viserys gode di una scrittura rara: non soltanto nei primi episodi è già estremamente realistico, nel suo oscillare fra padre amorevole, marito devoto e sovrano costretto, ma riesce perfino a migliorare costantemente sfaccettandosi sempre più mano a mano che il suo arco narrativo raggiunge un climax il cui impatto emotivo è a dir poco intenso. Sono tre esempi, ma se ne potrebbero fare a volontà (Otto Hightower, Daemon Targaryen, Aemma Arryn, Larys Strong, ecc.) e lo stesso vale per ogni singola caratterizzazione della serie fino ai personaggi con minor minutaggio, come Harwin Strong o lord Baratheon.
A corredo di ruoli scritti con cura, il casting di House of the Dragon è a dir poco azzeccato: tutti i membri del cast interpretano i personaggi con intensità e naturalezza recitando gli ottimi dialoghi (anche questi credibili, per tornare a rimarcare la differenza abissale con altre serie) con una capacità invidiabile. Pochi sono i nomi che potrebbero non essere menzionati in una lista di prestazioni attoriali decisamente sopra la media.
Paddy Considine è la più grande sorpresa, capace di cogliere ogni singola sfaccettatura di un Viserys che supera senza fatica la sua controparte cartacea, di far risaltare nelle giuste occasioni i diversi lati della personalità di un re per nulla epico ma non per questo dimenticabile: tormentato ma controllato, severo ma apprensivo, in un crescendo di conflitto fra la sua risolutezza e…
SPOILER 1X08
SPOILER 1X08
SPOILER 1X08
…il suo corpo stanco si rende protagonista di una delle scene più intense mai viste in uno show fantasy, la camminata del re morente verso il trono nella quale fa sentire sulla pelle la fatica e il sacrificio fatti per la figlia (fatica già evidenziata dalle scene del re allettato, utili a mostrare quella difficoltà cognitiva dalla quale rifiuterà di essere affetto nei momenti decisivi).
FINE SPOILER
Matt Smith recita in costante stato di grazia: il “rogue prince” Daemon viene descritto a meraviglia dal suo tono e dalle sue espressioni, raggiungendo il massimo quando riesce a sostenere il peso di un’intera scena di episodio senza pronunciare una singola parola ma facendo trasparire i pensieri e lo stato d’animo del personaggio sia nel reagire a un messaggio ricevuto che lo ferisce nell’orgoglio sia con tutta la fisicità di una scena d’azione solitaria.
Milly Alcock ed Emily Carey mostrano una Rhaenyra e una Alicent molto amiche ma con cricche che si estendono sempre più nel loro rapporto. Nonostante la performance straordinaria di queste due giovani, Emma D’Arcy e Olivia Cooke riescono a non farle rimpiangere recitando in assoluta continuità con loro e riprendendo alla perfezione il mood che le prime puntate ci avevano trasmesso in merito alle due amiche-nemiche. Nota di merito per la Cooke che pare abbia proposto di propria sponte un’interpretazione leggermente diversa dalle indicazioni, accentuando i lati positivi di Alicent e la sua forza così da impedirci di vederla come una semplice villain, ma D’Arcy non è da meno, specialmente nel dare il giusto peso al conflitto tra rabbia e responsabilità come erede di suo padre. Oltre a delineare le due regine in modo ottimale per conferire il peso drammatico alle vicende, House of the Dragon dimostra quanti tipi diversi di personaggio femminile forte possono essere scritti anziché usare lo sterile stampino della guerriera dura e pura tanto in voga in certi contesti dei giorni nostri.
Rhys Ifans (Otto Hightower) e Matthew Needham (Larys Strong) riescono nel difficile compito dell’uscire da archetipi radicatissimi nel pubblico di Game of Thrones: nonostante le somiglianze “di ruolo” con celebri personaggi del primo show, Otto è molto più di un Tywin meno temibile e Larys è molto più di una via di mezzo fra Ditocorto e Varys. Non trascurabile è, in entrambi i casi, il livello di disgusto che riesce a essere raggiunto da caratterizzazioni del tutto umane e verosimili.
Steve Toussaint (Corlys Velaryon) ed Eve Best (Rhaenys Targaryen) sono una coppia perfetta. L’ambizione del Serpente di Mare, uomo determinato, coraggioso e orgoglioso, combinata alla saggezza e alla dignità della Regina che non fu, costituiscono un polo di attenzione funzionale sia a fare da contraltare e antagonista a re Viserys sia a risultare un appetibile alleato.
Unitamente a personaggi che non fanno rimpiangere Ned Stark e Jaime Lannister, il modo in cui la storia procede è, come detto, credibile. Ben inteso: una storia credibile non è quella che non richieda mai la sospensione dell’incredulità (si pensi alla già citata scena di Daemon sulla spiaggia nella quale è certamente richiesta) ma quella che nel complesso restituisce un’idea di sensatezza. La chiave della riuscita di questa storia sta nell’apparente spontaneità con la quale gli eventi sono concatenati: non vediamo i fili manovrati da uno sceneggiatore che muove il tutto in maniera artificiale, bensì una serie di vicende che si svolgono sulla base di impulsività, errori di valutazione, gaffes, perfino equivoci, tutto orchestrato affinché si verifichi in situazioni compatibili, in momenti nei quali è effettivamente plausibile che ciò accada.
SPOILER STAGIONE 1
SPOILER STAGIONE 1
SPOILER STAGIONE 1
Rhaenyra non finisce a letto con Criston Cole “perché è scritto nei libri”, o meglio, sì, ma quello che a noi appare è che la principessa seduce l’aitante cavaliere che ha di fronte alla propria porta; Viserys morente non rivela per errore la profezia di Aegon a una persona che passa per caso al suo capezzale, la rivela alla specifica persona che è rimasta lì per anni; Lucerys non muore ucciso per sbaglio da un drago dei Verdi a caso, muore perché Aemond, con il quale ha un grande conto in sospeso, lo provoca e lo insegue causando la reazione di Arrax e perdendo poi il controllo di Vhagar. Questi e molti altri sono gli esempi di scena ben circostanziata, quindi credibile.
FINE SPOILER
Una gestione della storia molto simile a quella vista in serie come Black Sails, nella quale quasi ogni svolta della trama ha al centro un imprevisto o un colpo di testa rendendo il tutto incredibilmente umano e naturale poiché poco programmabile.
Una delle maggiori preoccupazioni dai tempi dell’annuncio di House of the Dragon era quella relativa ai draghi: con tutte le difficoltà e il budget richiesto per i tre draghi di Daenerys, come sarebbero riusciti a mostrare costantemente draghi a schermo nel periodo storico della Danza dei Draghi? La risposta a questo dubbio è arrivata molto chiaramente: ci sono riusciti bene. Eccezion fatta per qualche frame sfortunato, la resa dei draghi a terra e in volo è ottima. Scene come quella di Daemon che atterra alle Stepstones calpestando il soldato, quella di Rhaenys che minaccia i Verdi o quella (bellissima) di Vhagar che insegue Arrax mostrano bestie che, per quanto fantasy, risultano credibili nei movimenti.
Come avrete intuito, il pensiero è volato più volte a The Rings of Power, una serie che a dispetto del budget stratosferico tende a non mostrare mai la cura e la scrittura del prequel di Game of Thrones. Sento spesso dire “non si possono paragonare le due serie”. Non sono d’accordo. Tolkien non può essere paragonato a Martin, ma The Rings of Power può, e a mio parere deve, essere paragonato a House of the Dragon proprio per lo stile che Amazon ha voluto ricercare, molto simile a un fantasy generico con qualche elemento mistery (peraltro posto in maniera pigra) e quindi in aperta contraddizione a quello delle opere che stava trasponendo. In questo senso la distanza abissale in termini di come si sono spese le risorse restituisce uno scenario impietoso: se da un lato avevamo HBO nell’arduo tentativo di recuperare il favore del numero enorme di fan delusi riuscendo nel compito già dal primo episodio e mantenendo un livello altissimo per tutta la stagione, dall’altro abbiamo una Amazon forte di un brand inossidabile che elenca nei fatti un esempio di pessima scrittura dietro l’altro; questo nonostante i testi di Martin fossero ben ardui da adattare, essendo libri di storia che rendono necessari continui time skip, mentre le appendici di Tolkien lasciassero pressoché totale libertà agli scrittori.
House of the Dragon pone quindi il primo mattone per la ricostruzione del franchise e, a fronte di giorni di bufera in arrivo sulle rive della Terra di Mezzo, sembra proprio che il mondo di George Martin si stia dirigendo verso un riscatto che si spera sia di esempio per chi volesse, in futuro, cimentarsi nella scrittura di uno show fantasy.