Il ruolo del fantasy nella cultura
[Estratto dal saggio su Final Fantasy X "Narrare il sogno degli intercessori" dedicato agli aspetti comunicativi e narratologici nei videogiochi story driven]
Dopo il boom della serie TV Game of Thrones e, più in generale, negli anni che vedono la cultura pop ancora influenzata pesantemente dall’adattamento cinematografico de Il Signore degli Anelli, è opportuno affrontare un tema come quello del ruolo del fantasy e, ancor più a monte, della natura del fantasy.
È abbastanza comune, anche se non quanto in passato, sentir denigrare il fantasy come genere narrativo inferiore, un po’ sciocco, di poco conto: perché mai dare a una storia su qualcosa che non esiste nella realtà la stessa dignità dei saggi e dei romanzi storici? Quale valore ha una vicenda inventata di sana pianta, se raffrontata a studi pluridecennali di periodi storici poco conosciuti o all’analisi di complessi sistemi geopolitici? Del resto, “è facile scrivere cose se puoi inventarti di tutto e se non devi passare dalla prova della realtà che conferma o smentisce le tue tesi”, no? Che sforzo è mai costato, all’autore di una storia fantastica o al creatore di un mondo inesistente, inventarsi qualche trovata magica e scrivere di elfi e di nani?
Gli è costato lavorare con il cervello, farlo in modo diverso dalla narrativa più ordinaria, ma a un livello che può essere inferiore, pari o anche superiore a uno storico o a un saggista.
Il “fantasy”, prima di tutto, è sempre esistito in una qualche forma e con un qualche scopo. È chiamato “fantasy” in senso stretto solo dall’avvento del mai troppo citato J.R.R. Tolkien, ma di fatto il “raccontare di cose inesistenti” è qualcosa che è sempre stato fatto con gli obiettivi e gli effetti più disparati. Non si può neppure affermare con certezza che l’essere umano si sia occupato prima del reale che del fantastico, del quale ha avvertito il bisogno fin dai tempi più remoti: tutto ciò che non sappiamo stimola l’immaginazione e che cos’era l’uomo dei primordi se non il supremo ignorante? Le religioni antiche, per quanto si manifestassero nella riverenza nei confronti di entità superiori, seguivano le stesse logiche della letteratura fantastica: reinterpretazioni di elementi reali in chiave immaginifica e invenzione di cose inesistenti ispirate da cose esistenti. Il processo creativo che ha portato gli Egizi a immaginare Horus e Anubi, quello che ha portato i Greci a immaginare Zeus e i Titani, quello che ha portato i precolombiani a immaginare serpenti piumati, è esattamente lo stesso - per quanto la consapevolezza fosse diversa, così come il fine - che ha portato Tolkien a immaginare Sauron e Gandalf: si ha di fronte una realtà, la si osserva, si immagina qualcosa di diverso e fantastico e gli si dà corpo con un racconto che sarà portatore di un messaggio, magari di un insegnamento o di una testimonianza. La differenza è che, essendo scientificamente più evoluti, oggi non consentiamo facilmente a un’invenzione di mettere radici (quelle che le hanno messe quando eravamo ancora una società giovane e che sono sopravvissute fino a oggi sono un’altra storia).
L’Iliade e l’Odissea sono racconti che condividono essenza e caratteristiche con il “fantasy” e lo stesso vale per Pinocchio, per Alice nel Paese delle Meraviglie, per Il Visconte Dimezzato e Il Cavaliere Inesistente di Italo Calvino. Perfino i racconti di paura attorno al fuoco del campeggio potrebbero essere definiti “fantasy”. Queste storie nascono perché la mente lavora troppo rispetto a quello che le si trova attorno e ha bisogno di immaginare e realizzare schemi anche dove non ce ne sono, in particolare la mente di alcuni rispetto alla mente di altri. È una dinamica legata all’automatismo che ci incita a cercare un pattern nelle informazioni che otteniamo, a colmare il vuoto che ci impedisce di trovare una spiegazione.
Poste le basi storiche utili a “fornire autorevolezza” al genere, proseguiamo con il parlare di quell’idea molto comune per la quale il fantasy sarebbe quella strana roba per bambini dove succede di tutto, “perché è figo per i piccoli leggere dei maghi”. Beh, sì, è davvero figo, ma c’è un aspetto spesso trascurato (anche dai lettori di fantasy meno attenti): il fantasy, comunemente, detta regole per quei maghi, regole che il detrattore medio di questo genere letterario non riuscirebbe facilmente ad assimilare e a trattare “come se fossero vere”. Si potrà dire a questo punto: ok, ma quelle regole, quei limiti, quei paletti, servono forse a qualcosa nella “vita vera”? Qualcuno ha tratto vantaggio concreto dal sapere che nel mondo magico di Harry Potter un mago ha bisogno di una bacchetta per usare la sua magia? Un problema in famiglia viene risolto grazie al ricordarsi che ne Il Silmarillion Sauron ha, dopo la caduta di Numenor, perso la facoltà di assumere un bell’aspetto? Si sono mai fatti buoni investimenti in borsa grazie alle nozioni su come l’ossidiana possa uccidere gli Estranei in Game of Thrones?
Difficilmente. Viene però da pensare al finale de I Promessi Sposi, nel quale Manzoni fa una distinzione fra Renzo e Lucia che espone, né più né meno, l’importanza che acquisisce l’esperienza di vita quando vissuta con elasticità mentale. In quel finale Lucia, saggiamente, trae dai suoi trascorsi una lezione (pur discutibile e contestualizzata nell’epoca storica) che le sarà utile nelle più diverse circostanze della vita, ha sviluppato una forma mentale che le consentirà di far fronte alle avversità. Renzo è invece il sempliciotto corto di cervello che impara solo lezioni circoscritte a situazioni specifiche e concrete che ha vissuto, come ad esempio non partecipare alle proteste di piazza o non legarsi un campanellino al piede, tutte cose che difficilmente si ripeteranno, dunque, lezioni farlocche senza alcuna possibile applicazione che non gli impediranno di infilarsi di nuovo in situazioni rischiose - a meno che queste non siano esattamente quelle in cui si è trovato in passato.
Ecco: mentre il lettore di fantasy è Lucia, che non ha bisogno di trovarsi davvero di fronte un mago per affrontare la vita con mente più svelta, perché è la logica di fondo, l’approccio, il metodo, l’esercizio di problem solving che conta, non la situazione, il detrattore è Renzo, che non va oltre quello che vede e riesce ad apprendere solo nozioni per fronteggiare ciò che ha già vissuto. È la stessa differenza che intercorre fra chi esce da scuola con le sole nozioni apprese a memoria, nozioni che probabilmente dimenticherà, come dimostra l’alto tasso di analfabetismo di ritorno nella nostra società, e chi invece ha sviluppato un pensiero critico che gli sarà utile nelle infinite situazioni della vita, un’arma che non si spunta mai. Se per qualcuno leggere di come un cavaliere affronti un drago e usi l’astuzia per sconfiggerlo è inutile solo “perché non siamo cavalieri e non dovremo mai affrontare draghi”, purtroppo quel qualcuno è un Renzo.
In molti contesti si potrebbe sentir deridere chi gioca di ruolo attorno a un tavolo con gli amici, ma non è forse quella una forma rudimentale di teatro e di improvvisazione contestualizzata, per di più una che richiede di gestire situazioni sulla base di circostanze immaginate sfruttando risorse altrettanto da immaginare? Non si tratta di far fronte a una varietà di problematiche forse anche più ampie di quelle di fronte alle quali ci si trova nella vita di ogni giorno, con regole diverse da quelle ordinarie? Questo allenamento mentale non porta a una mente elastica? Si definisce una perdita di tempo leggere libri che raccontano di mondi fantastici, eppure portano a uno sforzo di astrazione ben superiore a quello di un romanzo ambientato nel mondo reale, a un impiego di risorse mentali molto superiore rispetto al leggere una notizia nel modo in cui molti la leggono.
La verità è che il fantasy porta a rapportarsi a cose talmente varie, talmente diverse l’una dall’altra, che se ne esce arricchiti molto più di chi rifiuta qualsiasi cosa non gli si presenti concretamente davanti agli occhi. Ormai, nel 2022, possiamo dire senza timore di smentita che è molto più comune che uno “sfigato nerd” sia intelligente - nel senso di mentalmente elastico e pronto, dotato di approccio analitico ai problemi che gli si parano di fronte - piuttosto che lo sia uno che denigra gli “sfigati nerd”.
“Non sottovalutate mai la maturità e l’intelligenza di poter entrare in una storia, di potersi far trascinare dalla visione di un autore, da un’ambientazione, da un universo creato da un altro universo ossia la mente e il cuore umano. [...] Se una persona non è in grado di empatizzare con un’opera, se non è in grado di emozionarsi, di lasciarsi trasformare da qualcosa che comunque esiste e che è simbolo - più di molte altre cose - della nostra specie, probabilmente è solo troppo stupido per farlo”.
- Michele Poggi / Sabaku No Maiku, 04-06-2019
Se non si riesce ad analizzare una situazione solo perché bisogna figurarsela in mente, se si è capaci di apprezzare una psicologia soltanto quando è quella di una persona reale che ce la confida, se si sa comprendere un insieme di regole solo per quanto ci pesano addosso con la loro realtà, se per ragionare su una cosa abbiamo bisogno che quella cosa esista davvero, si è persone limitate.
C’è di buono che se ne può uscire semplicemente volendolo: la fantasia è alla portata di chiunque la cerchi. Potrebbe capitare a molti che, nel capire come mai gli Elfi lasciano la Terra di Mezzo e come mai l’Unico Anello eserciti tutto quel potere sui mortali, si arrivi a guardare con occhi diversi anche quello che ci circonda quando ci si sveglia la mattina. Si tratta di trovare una dimensione mentale che ci porti oltre il semplice sopravvivere, oltre l’essere ingranaggi di una vita non nostra e utile solo ad attendere che finisca. L’umanità, da sempre, immagina, racconta e trae linfa vitale dallo scambiarsi storie e idee, trasmettendosi informazioni e costruendo grazie a esse la propria identità.
Siate pienamente umani, immaginate ciò che volete e immergetevi nell’immaginazione altrui. Siate, qualche volta e nelle cose giuste, un po’ Lucia.
“L’opera di autori come Zamjatin e Lem ha mostrato che quando la fantascienza usa la sua illimitata gamma di simboli e metafore narrativamente, con il soggetto al centro, può mostrarci chi siamo, dove siamo, quali scelte sono di fronte a noi, con chiarezza insuperata e con una grande e preoccupante bellezza”.
- Ursula K. Le Guin